Autore: Guido Zini
Per quasi tutti Chianti Classico è sinonimo di grande vino rosso, ma non molti sanno che questa denominazione custodisce una piccola e dolce perla: il Vin Santo.
Curioso di saperne di più, ho preso parte a un apposito seminario, condotto dal celebre giornalista Daniele Cernilli durante l'anteprima di Chianti Classico Collection, che si è svolta alla Stazione Leopolda di Firenze.
L'introduzione spetta al neo-presidente del Consorzio Giovanni Manetti, che ricorda il ruolo del Vin Santo nei costumi familiari come bevanda dell'accoglienza, prodotta in un numero esiguo di bottiglie da offrire agli ospiti in circostanze speciali.
Il perché è presto detto: il tipico processo di appassimento dei grappoli sui graticci e la successiva vinificazione - rigorosamente senza colmatura - nei caratelli (piccole botti di castagno, gelso e più di recente rovere, dai 50 ai 200 litri di capacità) per almeno 24 mesi (ma i tempi spesso si allungano), portano a una notevole riduzione del volume, tanto che da 100 chili di uva si ricavano appena 10 litri di liquido. Capite dunque che si parla di un nettare raro, da centellinare con accuratezza.
Cernilli, dopo un cenno alle origini sacre del Vin Santo (nell'ipotesi più accreditata, veniva in passato utilizzato per la messa) si sofferma sul suo carattere naturale e ancestrale , grazie all'uso di sole uve autoctone, di lieviti indigeni - in certi casi si parla addirittura di lievito madre, che si deposita nei caratelli anno dopo anno - e all'assenza di filtrazioni o altri interventi di stabilizzazione, oltre alla componente volatile che, lungi da essere un difetto, conferisce al prodotto il suo marchio di fabbrica.
Gli otto assaggi regalano un panorama completo, tra versioni secche e dolci, più o meno invecchiate, in veste canonica (dove prevalgono trebbiano e malvasia) o nella variante Occhio di Pernice (dove compare il sangiovese almeno al 50%), utili a comprendere tutte le possibili interpretazioni di questa bontà toscana. Le aziende oggi intervenute, in rappresentanza delle varie sottozone del Chianti Classico, sono Castello di Monterinaldi (Vin Santo Occhio di Pernice 2012), Badia a Coltibuono (Vinsanto 2010), Fontodi (Vin Santo 2008), Isole e Olena (Vin Santo 2008), Rocca di Montegrossi (Vin Santo 2008), Castello di Monsanto (Vin Santo La Chimera 2007), Fèlsina (Vin Santo 2007), Castello di Cacchiano (Vin Santo 2004), ognuna con uno stile preciso, denso di particolari che si scoprono sorso dopo sorso.
Invito quindi gli appassionati a immergersi in questo magico viaggio, tra richiami di frutta secca e disidratata (noce, dattero, fico, albicocca), spunti golosi (caramello, cioccolato bianco, persino il montblanc), aromi balsamici, intriganti contrasti fra acidità e residuo zuccherino: una giostra di sapori dalla quale non si vorrebbe mai scendere.
E mi raccomando, vietato confondere il Vin Santo col Vinsanto, vino liquoroso di basso prezzo e minore qualità.
Guido Zini, autore del pezzo di oggi, ci racconta l'esperienza della giornata: "Lo spazio dedicato al Vin Santo all'interno di Chianti Classico Collection rappresenta il giusto tributo a un prodotto dalle radici quasi millenarie, e un invito a non dimenticare il forte legame fra vino, storia e cultura popolare. Non è un caso che i marchi più prestigiosi della zona riservino ancora grande attenzione a questo prezioso vino di nicchia, simbolo di un territorio al pari del famoso Gallo Nero."
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